Coltivare tartufi è più facile di quanto si possa immaginare e certamente molto redditizio.
Hai mai pensato di diversificare la tua produzione?
Oggi ti mostriamo come coltivare tartufi in modo semplice e pratico.
Buona lettura.
Indice
Cosa sono i tartufi? Conosciamoli meglio
Prima di mostrarti come coltivare i tartufi, voglio che tu sappia innanzitutto cosa sono. Questo è molto importante, perché conoscendoli bene riusciremo a prestar loro le migliori cure ed aumentare così la produzione, quindi il guadagno.
I tartufi, in realtà, sono dei funghi particolari, cioè tutti quelli che appartengono al genere Tuber. Essi presentano un carpoforo ipogeo (quindi che sta sotto terra) e vivono in un rapporto di simbiosi (per capire cosa è la simbiosi clicca qui) micorrizica con piante arboree ed arbustive.
Secondo gli studiosi, i tartufi deriverebbero da un fungo epigeo (Peziza) che si è ribaltato e ha dato origine ad un carpoforo ipogeo, il cui strato cellulare interno si è pieghettato lasciando un’apertura. Questa cavità basale, ancora presente in alcune specie, è andata progressivamente riducendosi in altre, fino a scomparire quasi del tutto.
Ciclo biologico dei tartufi: come nascono, come vivono e come si riproducono
Il ciclo biologico dei tartufi non è ancora del tutto conosciuto. Lo sviluppo sotterraneo non consente, infatti, di seguire con sicurezza le varie fasi dello sviluppo. Gli unici studi in questo senso sono stati realizzati per il tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum, Vitt.) e da essi si può desumere uno schema generale valido anche per le altre specie. Il Carpoforo rappresenta il corpo riproduttivo del fungo in quanto contiene le ascospore, cioè gli organi preposti alla diffusione della specie. Una volta maturo, questa parte del corpo del tartufo, contenente un elevato numero di spore, se non viene raccolto dall’uomo rimane nel terreno e si decompone naturalmente per fenomeni di marcescenza o viene mangiato dagli animali (roditori, insetti, vermi, molluschi, nematodi, ecc.).
Le spore contenute dentro il Carpoforo vengono così liberate nel terreno nel luogo dove è marcito o dove sono state trasportate dagli animali attraverso gli escrementi. In primavera, se la condizioni di clima e di terreno sono favorevoli, alcune spore riescono a germinare. L’induzione di questo fenomeno sembra dipendere anche dalle radici delle piante che, alla ripresa vegetativa, producono una maggiore quantità di essudati radicali.
È questo il momento ideale in cui i tartufi creano una simbiosi con la pianta arborea o arbustiva, tramite le micorrize. Le micorrize sono delle particolari associazioni simbiotiche tra un fungo e una pianta a livello delle radici della pianta stessa. L’associazione si estende per mezzo delle ife o di strutture più complesse come le rizomorfe, nella rizosfera e nel terreno circostante.
Per formare la micorriza, il fungo avvolge l’apice radicale fino a formare una guaina di alcuni strati di cellule, chiamata “micoclena”. Da questa guaina, alcune ife penetrano negli spazi intercellulari dello strato più esterno della radichetta dell’albero, formando così un reticolo detto “reticolo di Harting”. Questo processo porta il nome di Micorrizazione. Contemporaneamente, attraverso le ife, il tartufo trae dalla pianta tutte le sostanze organiche necessarie per la propria sopravvivenza.
Coltivare tartufi
Coltivare tartufi è sempre stata l’aspirazione dei ricercatori e dei tartufai, a causa dell’alto valore gastronomico e commerciale che hanno questi preziosi funghi. Nel corso degli anni, sono state sperimentate varie tecniche di coltivazione che si sono in seguito sviluppate con il progressivo approfondimento delle conoscenze sulla biologia dei tartufi.
Tutte le tecniche relative alla produzione di piante micorrizate si basano sulla riproduzione artificiale, in condizioni controllate, del fenomeno naturale di micorrizazione. In pratica si cerca di indurre la simbiosi tra gli apici radicali di giovani piantine e delle ife del tartufo della specie prescelta, eliminando per quanto possibile dell’ambiente ogni elemento di disturbo. In particolare, è molto importante evitare la presenza di funghi ectomicorrizici che possono colonizzare gli apici radicali delle piantine ed andare a sostituire la specie di tartufo che noi intendiamo far sviluppare.
Tutto questo comporta la necessità di operare in ambienti particolarmente puliti, nonché di utilizzare serve apposite per lo sviluppo delle piante e luoghi separati per le operazioni di micorrizazione. Inoltre è indispensabile utilizzare manodopera specializzata per le varie fasi di allevamento e di produzione e, soprattutto, per la fase successiva di controllo delle piantine.
Il processo di micorrizazione in vivaio può essere realizzato attraverso tre diverse metodologie:
- Metodo dell’inoculo sporale
- Metodo dell’approssimazione radicale
- Metodo dell’inoculo miceliare
Metodo dell’inoculo sporale
Viene definito con questo nome perché per la micorrizazione si utilizza un liquido contenente le spoglie di tartufo ottenuto spappolando dei carpofori maturi e mescolandoli con acqua sterile. L’operazione di micorrizazione consiste nel mettere in contatto gli apparati radicali di piantine allevate su substrati sterili con le spore, trapiantandole in vasetti contenenti la soluzione.
Il periodo dell’anno più idoneo per effettuare l’inoculo è quello che va da fine inverno a primavera inoltrata. Il processo necessita di alcuni mesi per completarsi il controllo dell’avvenuta micorrizazione non può iniziare prima di settembre-ottobre.
La produzione di piantine micorrizate con questo sistema è abbastanza semplice. La cosa più importante, però, mantenere le condizioni operative il più possibile sterili, per evitare l’inquinamento con funghi indesiderati. I semi e le talee vengono generalmente sterilizzati mediante immersioni in soluzioni disinfettanti (ipoclorito di sodio, acqua ossigenata, ecc.) per eliminare eventuali propaguli fungini presenti sulla loro superficie.
L’allevamento del materiale di propagazione deve inoltre avvenire su substrati inerti quali la vermiculite, l’agriperlite o altro. Il trapianto deve essere effettuato in un terreno sterilizzato a 120° C mediante l’utilizzazione di autoclavi o di generatori di vapore. A tal proposito, guarda anche l’articolo sulla solarizzazione.
Metodo dell’approssimazione radicale
Si tratta di un altro sistema per coltivare tartufi. Utilizza come fonte di inoculo una pianta micorrizata attraverso il metodo dell’inoculo sporale. La pianta madre micorrizata viene allevata in un ambiente il più possibile sterile e posta in un contenitore contenente terreno di tartufaia sterilizzato o un substrato inerte e intorno adesso vengono trapiantati dei semenzali, delle tale predicati o delle piantine allevate in vitro.
Così facendo, il micelio del tartufo presente sulle radici della pianta madre colonizza progressivamente gli apici radicali delle giovani piantine con cui entra in contatto. Ecco allora che ricomincia il ciclo biologico del tartufo.
Metodo dell’inoculo miceliare
Questo metodo con cui coltivare tartufi è stato adottato in tempi più recenti. Anche in questo caso si utilizza, come mezzo di micorrizazione, il micelio. Il micelio della specie di Tuber che si vuole utilizzare per l’inoculo viene prelevato dal corpo fruttifero, purificato e allevato su appropriati mezzi di coltura fino ad ottenerne la quantità necessaria e poi utilizzato per micorrizare giovani piantine allevate “in vitro”, talee o giovani semenzali.
È un metodo che offre gli stessi vantaggi del precedente e che permette inoltre di risolvere problemi legati all’inquinamento se il micelio viene utilizzato per inoculare piantine “in vitro”. In questo modo, poi, essendo svincolati dalla stagionalità delle operazioni vivaistiche, si possono ottenere piantine micorrizate in tutti i periodi dell’anno.
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