Sull’utilizzo dei fanghi in agricoltura come concime naturale e organico l’opinione pubblica è divisa in due.
Da un lato, c’è chi osteggia l’impiego dei fanghi di depurazione come concime organico per i terreni. Dall’altro, c’è chi ne osanna l’utilizzo poiché si tratterebbe di restituire alla natura ciò che è suo.
Andiamo con ordine, iniziando a vedere cosa sono, effettivamente, questi fanghi di depurazione.
Fanghi di depurazione: da dove derivano?
Si tratta del residuo che si ottiene dalla depurazione delle acque reflue, non solo di quelle provenienti da terreni agricoli e campagne, ma anche – e soprattutto – da città e zone industriali.
E’ proprio su quest’ultima provenienza che il dibattito si fa acceso. Teoricamente, utilizzando in maniera corretta gli impianti di depurazione, non dovrebbero esserci limiti all’utilizzo dei fanghi di depurazione sui terreni coltivati.
Ma è davvero così?
Il problema nasce da mancati controlli sulla composizione dei fanghi di depurazione. Oltre a contenere, difatti, sostanza organica come scarti di frutta, verdura e cibo, le acque reflue portano ben altro tipo di scarto industriale che risulterebbe dannoso se riversato nelle coltivazioni.
Tra questi scarti è impossibile non menzionare gli idrocarburi, i metalli pesanti, le diossine, i furani e altro materiale che non dovrebbe assolutamente contaminare il cibo che arriverà, in breve tempo, sulle nostre tavole.
Uno dei principali ostacoli all’utilizzo dei fanghi di depurazione è l’assenza di un’adeguata rete di depurazione in tutta Italia. Molto spesso gli impianti sono del tutto assenti o arretrati.
Considerando l’alta concentrazione urbana e gli scarti che le grandi città producono, va da sé che né il lavoro degli impianti né il processo di controllo possano dirsi sicuri al 100% e ottimizzati nel loro utilizzo.
Con questa sfiducia verso la capacità di depurazione, diversi comitati cittadini, soprattutto nel Nord Italia, hanno protestato contro i decreti legge che hanno modificato sia la quantità di fanghi di depurazione utilizzabili sui campi, sia le percentuali di idrocarburi che, per legge, i fanghi possono contenere.
Il ricircolo della sostanza organica non è, di per sé, un male. Non si può, tuttavia, consentirne l’uso se la sua natura non è verificata di volta in volta, facendo particolare attenzione alla presenza di sostanze nocive per le coltivazioni.
In questa diatriba, con il favore di alcune Università ed enti pubblici e con lo sfavore di associazioni agricole e interi comuni, continua da anni un blocco serio della discussione che inceppa, purtroppo, il lavoro dei depuratori stessi.
Di questi fanghi, in sostanza, cosa se ne deve fare? Altri tipi di smaltimento, come quello delle discariche, non sono approvati dall’Unione Europea, quindi il problema resta.
Si rischia seriamente il collasso con chili di fango ammassati in attesa di controlli e di un adeguato smaltimento. Per alcuni limiti di legge troppo bassi, difatti, molti fanghi di depurazione non passano il test, e nonostante il consenso di scienziati che asseriscono la non nocività con livelli più alti di idrocarburi, la situazione non accenna a sbloccarsi.
Le percentuali ad oggi approvate per legge sulla presenza di idrocarburi e metalli nei fanghi di depurazione sono indicate sulla Gazzetta Ufficiale.
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