Grano o frumento? Duro o tenero? Quali sono le differenze? Perché ci sentiamo gonfi dopo aver mangiato un piatto di pasta? Scopri tutta la verità che si nasconde dietro al frumento.
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Indice
Il frumento
Con il nome “frumento” si intendono diverse specie di Graminacee appartenenti al genere Triticum, che furono tra le primissime piante ad essere coltivate circa 11 mila anni fa in Medio Oriente.
Da quel periodo ad oggi, i frumenti si sono evoluti e diffusi in tutti i paesi a clima temperato Europa, Asia e Africa e negli ultimi cinque secoli anche nel continente americano e australiano. Attualmente il frumento è il cereale più coltivato nel mondo, su ben 224 milioni di ettari circa (ISTAT 2015).
Le numerose specie di questo genere si sono evolute attraverso complessi meccanismi di incrocio naturale che hanno portato configurazioni genetiche molto diverse, e quindi a specie diverse. Ecco uno schema che ci può essere utile per capire meglio:
- Frumenti diploidi (2n=14; genomi AA): Triticum monococcum (Piccolo Farro, il primo ad essere coltivato agli albori della civilizzazione agricola del Medio Oriente).
- Frumenti tetraploidi (2n=28; genomi AABB): Triticum dicoccum (Farro), Triticum durum (Grano duro), Triticum turgidum (Frumento turgido).
- Frumenti esaploidi (2n=42; genomi AABBDD): Triticum spelta (Gran Farro), Triticum aestivum (Grano tenero).
Al di là della morfologia, della biologia e delle esigenze ambientali delle varie specie, voglio dedicare questo articolo soprattutto ai fattori principali che favoriscono l’alta qualità del frumento. In particolar modo mi soffermerò sul grano, dai cui frutti (cioè i semi, più precisamente chiamati cariossidi) si ricava, mediante particolare lavorazione, la farina da cui derivano le principali pietanze del nostro quotidiano (dalla pasta ai panini, dai biscotti alle torte).
Quando coltivare il frumento
La semina del frumento può avvenire in diversi periodi dell’anno, a seconda della specie. Il Triticum aestivum, ad esempio, è il grano tenero che viene seminato a primavera e che esplica il suo ciclo biologico durante tutta l’estate, per essere così raccolto nel mese di agosto (inizi o metà agosto a seconda delle condizioni ambientali). Il Triticum durum, invece, è il frumento o grano duro che viene seminato in autunno, ad ottobre-novembre, a seconda delle condizioni ambientali e dell’altitudine, e che viene così raccolto ad inizio estate dell’anno successivo, verso la prima metà di giugno.
Nelle regioni a clima mite, con inverni non molto freddi e con poche precipitazioni nevose, si coltiva il grano duro, il quale riesce a sopportare il freddo invernale senza rischi. Questo è il caso del Centro Italia, del Sud Italia e dei paesi caldi del continente americano.
Nelle regioni a clima rigido, (Nord Europa, Canada, ecc.) o in zone montane, viene coltivato il grano tenero, il quale non soffrirà affatto le temperature delle estati fresche caratterizzanti queste zone.
Un’altra volta possiamo quindi affermare che non esiste un terreno migliore di un altro, bensì esiste una specie vegetale più adatta ad un certo ambiente (pedologico e climatico) piuttosto che a un altro.
Frumento tenero o grano tenero
L’utilizzazione prevalente del grano tenero è la preparazione di prodotti da forno e in particolar modo del pane, definito dalla legge “il prodotto ottenuto dalla cottura di una pasta convenientemente lievitata, preparata con sfarinati di grano, acqua e lievito, con o senza aggiunta di sale comune da cucina (cloruro di sodio)“.
La prima destinazione di lavorazione del grano tenero è quindi la macinazione (o molinatura), operazione con la quale si provoca lo schiacciamento dei semi e la separazione di tre parti di essi:
- La parte interna (ricca di amido), da cui si ricava la farina;
- L’embrione, ricco di grasso e facile da irrancidirsi;
- Crusca, costituita dai finissimi tegumenti esterni del seme che sono ricchi di fibra, proteine e sostanze minerali dette ceneri.
Con gli attuali processi di macinazione, vengono ricavati, per estrazioni progressive, tre tipi di farina.
Contenuto massimo di ceneri (%) |
Contenuto minimo di glutine secco (%) |
|
Tipo 00 |
0,50 |
7 |
Tipo 0 |
0,65 |
9 |
Tipo 1 |
0,80 |
9 |
La crusca e i suoi derivati sono usati prevalentemente nell’alimentazione zootecnica (vacche da latte, cavalli, ecc.) ma anche per gli esseri umani come prodotti dietetici ricchi di fibra (cellulosa).
In relazione al suo utilizzo, si distingue una grandissima caratteristica del frumento: la qualità panificatoria. La qualità panificatoria comprende il complesso dei requisiti che una farina deve avere per dare un buon pane. Il buon pane è dato da grani “di forza”, cioè duri; per contro, i grani deboli possono essere usati per fare biscotti e impasti a bassa lievitazione.
Importanza estrema ha la forza della farina, collegata al comportamento dell’impasto durante la lievitazione. Si richiede che il gas creatosi nella reazione di lievitazione resti imprigionato nella massa dell’impasto e che quest’ultimo sia elastico (soffice) e allo stesso tempo tenace (non si separi facilmente).
Queste proprietà sono conferite da quel complesso proteico esistente all’interno del seme del grano che va sotto il nome di glutine e che ha grande importanza perché determina la forza di una farina.
In base alla qualità panificatoria, le varietà di frumento tenero (o grano tenero) sono classificate nelle seguenti categorie:
- frumenti di forza
- frumenti panificabili superiori
- frumenti panificabili
- frumenti da biscotti
Frumento duro o grano duro
Il grano duro è coltivato molto meno del grano tenero e il suo impiego prevalente risulta la preparazione di paste alimentari mediante speciale macinazione (con rulli scanalati) che porta alla produzione di semola, non di farina.
La semola è costituita dai frammenti più o meno grandi dell’interno del seme (endosperma). Il contenuto massimo di ceneri contenute nella semola è dello 0,85% per norma di legge.
Le statistiche ufficiali FAO hanno solo la voce “Frumento”, senza distinzione tra tenero e duro. Tuttavia si stima che il grano duro venga coltivato sul 9% della superficie mondiale destinata a frumento.
In Europa, il principale produttore di grano duro è l’Italia che nel 2000 gli ha destinato 160 ettari su un totale a frumento di 230, con una produzione di 450.000 kg.
Comunità europea e contributi
Il frumento ha avuto una notevole espansione negli anni ’70 a seguito della politica agricola seguita dalla Comunità Europea. Constatato che il consumo di paste alimentari aumentava e che la produzione europea ne era largamente in deficit, la Comunità Europea ha voluto incentivare la produzione comunitaria di frumento duro per ridurne l’importazione.
Questa politica comunitaria è stata, ed è tuttora, di notevole vantaggio per l’Italia, che è il più grande produttore di frumento duro, in particolare per le sue regioni meridionali e insulari dove è stata tradizionalmente concentrata la produzione di questo cereale.
I contributi comunitari (assai superiori a quelli concessi per il frumento tenero) hanno stimolato quindi l’espansione della coltivazione del frumento duro dalle regioni dove prima era esclusivamente limitata (Sicilia, Sardegna, Puglia, Basilicata, Lazio e bassa Toscana) ad altre regioni dell’Italia centrale e settentrionale, in sostituzione del grano tenero.
Le rese produttive ottenibili col frumento duro sono ormai dello stesso ordine di grandezza di quelle ottenibili nelle stesse condizioni coi frumenti teneri, per cui la convenienza economica a coltivare l’una o l’altra specie dipende essenzialmente dal valore di mercato della granella e dal regime di contribuzione della CE.
Il grano duro di qualità superiore si ottiene solo nelle regioni tipiche del Sud Italia, grazie alle condizioni climatiche particolari che assicurano l’insieme delle caratteristiche determinanti un’ottima qualità pastificatoria.
La pasta
Come si è detto, l’utilizzazione assolutamente prevalente del grano duro è la preparazione della pasta, definita dalla legge come segue: “Sono denominati pasta di semola di grano duro e pasta di semolato di grano duro i prodotti ottenuti dalla trafilazione, laminazione e conseguente essiccamento di impasti preparati rispettivamente ed esclusivamente con semola (o semolato) di grano duro e acqua“.
Proprio qui mi voglio soffermare, in particolare sulla parola “essiccamento“. Per chi è amante delle tradizioni, o comunque si intende di cucina da sapere come viene preparata la “pasta fatta in casa”, sa benissimo che l’impasto per la pasta deve riposare alcune ore prima di essere utilizzata (viene appunto essiccata).
Essendo però le particelle di semola più grandi di quelle della farina ne deriva che tra le prime ci sono spazi vuoti più ampi che tra le seconde. È un po’ come mettere in un sacchetto delle palline da tennis e in un altro sacchetto dei palloni da calcio: si può facilmente constatare che i palloni lasciano spazi vuoti più ampi tra loro.
Avendo ben chiaro questo fenomeno e sapendo che la fermentazione chimica tra acqua e semola (o farina) crea bollicine di anidride carbonica che si vanno ad imprigionare negli spazi vuoti creati tra le particelle, ne deriva che: se l’essiccamento della pasta non è fatto in modo scrupoloso, le stesse particelle di semola (o farina) si possono elasticamente distanziare tra loro e lasciar “scappare” l’anidride carbonica che si andrà così a liberare nell’impasto e/o fuori da esso (dandoci senso di gonfiore dopo il pasto, e non solo).
Ovviamente, questo scrupoloso essiccamento della pasta è impensabile a livello industriale, dove si mira soprattutto ad un’alta quantità di produzione piuttosto che alla qualità dei processi. Così la pasta viene asciugata (essiccata) in modo veloce dentro delle ampie stanze con grandi asciugatori, in modo da accorciare i tempi di produzione. Questo comporta un imperfetto essiccamento della pasta stessa, la quale, al suo interno, rimarrà (in modo infinitesimale) meno asciutta rispetto che all’esterno, causando le conseguenze appena accennate.
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